occhio di bue # 4

Quest’oggi risponderò ad alcune delle numerose mail che ricevo ogni settimana. Tralascerò catene di S. Antonio, Jenny che mi chiede se voglio acquistare Viagra, Marco di Ebay e una ventina di newsletter di oscuri siti ai quali mi sono iscritto in stato d’ebbrezza. Ora posso concentrarmi sulle mail immaginarie dei miei lettori che, da quando ho inaugurato questa rubrica, immagino mi seguano in tournée e vogliano conoscermi.

Caro Maurizio, ieri sera ti ho visto recitare. Volevo farti i miei complimenti. Mi hai sconvolta, sei bravissimo. Ma come fai a entrare nel personaggio?
(Antonella da Senigallia)

Cara Antonella, il problema non è “entrare” nel personaggio, il problema è quando per lavorare certi “personaggi” vogliono entrare in te, mi spiego?

Caro Maurizio, grazie. Grazie perché ogni volta che ti vedo recitare sai emozionarmi. Mi presento: Franco, cinquantadue anni, ingegnere, felicemente sposato, due figlie bellissime. La mia è una normale vita perfetta, ma sento che manca qualcosa, come un vuoto dentro che non mi fa dormire la notte. Ma è troppo tardi per mollare tutto e intraprendere la carriera d’attore?
(Franco da Matera)

Caro Franco, che dire? Così su due piedi. Mollare tutto a cinquantadue anni? Non so, prendi dei barbiturici.

Caro Maurizio, sto frequentando una scuola di teatro diretta da Pamela Prati, ma non sono molto soddisfatto. Mi sembra di non imparare nulla. Mi piacerebbe vederti recitare. Stai portando in giro qualche spettacolo?
(Orso56 da Milano)

Caro Orso56, Pamela Prati è una professionista seria che, come tutti sanno, ha fatto, insieme a Martufello, la storia del teatro italiano. Ha lavorato con registi straordinari come Pierfrancesco Pingitore e altri che ora non ricordo. Mi chiedi di me. Al momento, caro Orso56, sto portando avanti un progetto* artistico di cui, per scaramanzia, preferisco non parlare. Ma incrociamo le dita, dai. Appena possibile ti comunicherò la data del debutto.

[* “Sto portando avanti un progetto...” vuol dire: disoccupazione, mancanza di lavoro, mancanza di impiego, inattività; macerarsi nell’invidia; immaginare trionfi degli ex compagni di liceo; ore di nulla, occhi fissi al soffitto a cercare un senso al dolore; procacciare psicofarmaci in modo compulsivo; digrignare i denti; sbavare. Gli attori non parlano mai di disoccupazione, dicono “progetto di cui preferisco non parlare”. Infatti:]

Ciao Maurizio, sei bellissimo! Sono passati due mesi da quando ti ho “scoperto” in teatro e uno come te dovrebbe essere famoso, uffa. Come mai non sei famoso? Vorrei conoscerti di persona, è possibile? Dai dai dai dimmi di sì. Ho cercato su internet per vedere se stavi recitando in qualche spettacolo, eppure niente. Ma stai lavorando, vero? Cosa bolle in pentola?
(Minni da Aulla)

Cara Minni, grazie per i complimenti, sei troppo generosa… ma certo che sto lavorando! In questi due mesi non ho fatto altro e ormai sono agli sgoccioli e adesso sono proprio stanco. Ma va bene così, Minni, è stanchezza “sana”, presente? E poi era l’ora di fare qualcosa di “mio”. Pensa, un progetto su Melville… Moby Dick! Wow!**

[** Quando un attore professionista svela il tema del suo inesistente progetto significa che è alla canna del gas, ha finito i soldi, vaneggia, straparla, affonda in una realtà onirica di pura autodistruzione demenziale, propina balle a getto continuo. A genitori, fidanzata, estranei. Il progetto Moby Dick è un classico degli attori disoccupati all’ultimo stadio della disintegrazione (anche il progetto Kafka ha una certa diffusione). Non solo il progetto Moby Dick non esiste e non verrà mai realizzato, ma ben presto si trasformerà in una delirante tiritera patetica nel tentativo di convincere goffamente gli altri, sé stessi, e soprattutto la propria colite spastica, di non essere out. E, in realtà, proprio ciò prova che sei out].


Caro Maurizio, ci siamo conosciuti a Bologna, sono Franco da Matera, ricordi? L’ingegnere di cinquantadue anni con due figlie e la moglie stronza. Ti chiedo scusa se continuo a disturbarti sullo stesso argomento, ma devo sapere la verità. Se intraprendo la carriera d’attore avrò tempo per le mie figlie? Sai, non vorrei essere sempre in turnè, girare per l’Italia, l’Europa, l’America. Mi mancherebbero troppo le mie figlie.





(Franco da Matera)


Caro Franco, non preoccuparti. Avrai moltissimo tempo per le tue figlie. Le accompagnerai a scuola, giocherai con loro, le aiuterai a fare i compiti, le metterai a letto. E tua moglie sarà felice: spazzerai per terra, laverai i piatti, pulirai il cesso. Gli attori hanno moltissimo tempo libero. Forse, caro Franco, devo chiarirti le idee.

Ti parlerò in termini generici visto che ogni caso è a sé.

In Italia uno spettacolo di successo replica tra le 40 e le 50 volte in un anno. Gli altri (la stragrande maggioranza) muoiono prima: 3, 10, 15 repliche in un anno, poi tutti a casa. E le prove per realizzarlo? Una volta duravano un mese. Oggi una settimana, due al massimo, poi tutti in scena e speriamo di ricordarci le battute. E quanti spettacoli fa un attore di teatro in un anno? Un paio, più o meno. E finora ti ho parlato di chi lavora, non di perditempo. Adesso ricordati questo numero: 78. Un tempo era il numero minimo di giornate lavorative (vedi versamento dei contributi del datore di lavoro) che un attore scritturato doveva fare in un anno per ottenere dall’INPS il sussidio di disoccupazione (oggi ha cambiato nome: si chiama MINI ASPI e ha portato la soglia a 13 settimane, complicando ulteriormente l’accesso al sussidio). Una cifra ridicola: mille/duemila euro a seconda dei contributi versati. Ma come tutti sanno la categoria degli artisti, insieme a quella degli handicappati e dei pensionati, è da sempre la meno tutelata della storia repubblicana, e quindi 78 giornate lavorative (oggi 13 settimane) in un anno era per l’INPS una soglia sufficientemente alta per far fuori la maggior parte degli attori scrocconi. Quindi, tirando le fila del ragionamento, a 78 giornate lavorative ci arrivano in pochissimi. Ma per L’INPS, con almeno 78 giornate in un anno, sei un attore. Wow. Altrimenti sei una pippa. Va bene, ma tutto il resto del tempo un attore cosa fa? Già, che fa? Beh, progetta, studia, si dispera, cerca provini, attende l’esito dei provini, s’inventa insegnante di teatro. Pulisce casa. Magari è ricco di famiglia, e allora se la spassa cogli spritz. Oppure diversifica: lavori umili, caro Franco. Ora potresti obiettarmi che non ho chiarito il punto essenziale. Potresti dirmi, sei un birbone caro mio, parla chiaro, cioè quanto guadagna un attore medio di teatro per ogni singola giornata lavorativa? Se si guadagnassero almeno 300 euro al giorno col cavolo che si farebbero lavori umili, no? E poi quello dell’attore è un mestiere artistico, ha un valore sociale… hai ragione, caro Franco. Facciamo un’ipotesi: 300 euro netti per 78 giornate lavorative: 23400 euro l’anno. Mica male. Non mi comprerò lo yacht, ma. E con 200 euro al giorno, sono 15600 euro all’anno? Dignitoso, non m’iscriverò al country club, ma.

Ma il punto è: non si guadagnano 300 euro, caro Franco. E manco 200. E manco 100. E manco si lavora 78 giornate l’anno. E allora quanto si guadagna?

Ebbene, la prossima sugosa puntata di Occhio di bue sarà dedicata alla paga di un attore di teatro. Così saprete come mai non riesco a pagarmi yacht e country club. Nel frattempo per coloro che sono interessati ad approfondire l’esuberante storia del sussidio di disoccupazione degli attori italiani rimando a questo ottimo articolo.

Ora scappo: Moby Dick mi aspetta.





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